Silvia Magnani

I bambini con la bocca cieca

Esiste nell’ampio capitolo delle disfagie infantili un quadro di estremo interesse per le conseguenze che comporta nella scelta delle strategie riabilitative.

Si tratta di quella particolare forma di disturbo che si esprime principalmente con una incapacità a mettere in atto una preparazione efficace del bolo, che lo renda atto a essere spinto in direzione del retrobocca.

 

I disprassici pasticcioni

Che un tale problema si riscontri nelle disprassie è naturale. I disprassici presentano difficoltà a portare a compimento i progetti motori, spesso in modo prevalente quelli che coinvolgono l’oralità, tanto da essere questo settore quello più colpito.

Nella classificazione del disturbo disprassico orale si possono distinguere forme primarie, delle quali cioè non si comprende la eziologia, e forme secondarie. Tra queste ultime un posto a parte occupa la CAS, disturbo complesso e relativamente raro anche se sopradiagnosticato, le disprassie da non uso e mancata stimolazione, quali si hanno nei bimbi che non sperimentano nei primi tempi di vita la suzione, le forme da evitamento, spesso presentate da piccoli che hanno subito interventi dolorosi interessanti il distretto orale e, naturalmente quelle, correlate a grave ritardo cognitivo o a danno neurologico centrale.

 

Gli inappetenti dalla pappa grigia

Accanto a queste forme di incapacità prassica masticatoria, presenti in bimbi abitualmente appetenti, cattivi masticatori e spesso così voraci da essere sovrappeso (la fame infatti non viene parzialmente saziata dalla manovra masticatoria, praticamente inesistente), esiste un gruppo di piccolini che dimostrano verso il cibo un’apparente avversione.

Lo svezzamento è stato problematico, spesso si è arrestato alla fase del semisolido, i pasti sono lunghi e laboriosi.

E’ comune in questi bimbi un rallentamento della curva di crescita, fatto che preoccupa molto i genitori, e la madre perde fiducia nella propria abilità di nutrice. Da qui l’inevitabile corollario di colazioni e cene a biberon, pasti con distrattori, imboccamento obbligato. 

Quando chiediamo alle famiglie cosa il bimbo mangia ci viene abitualmente detto: ” di tutto”. Certo, di tutto, ma frullato, mescolato, omologato in una contaminazione di colori e di sapori che toglie il piacere della vista e quello dell’olfatto. Sono i “bambini dalla pappa grigia”, nel piatto dei quali vengono deposti carne, verdure, pasta, riso e formaggio in un’un’unica morbida mescolanza.

I bimbi così alimentati non potranno mai sviluppare gusti propri ma neppure curiosità per gli alimenti, dei quali con possono subire l’attrazione. Non solo, nella scelta comunque di privilegiare l’apporto calorico al piacere della degustazione, a loro si chiede solo di aprire la bocca, quasi non avessero mani per afferrare, per schiacciare, e braccia da protendere verso il piatto spinte dal desiderio.

Le ragioni di un rapporto così difficile con il cibo sono molteplici. Possono essere squisitamente motorie e settoriali: una lingua incapace di lateralizzarsi non sa impastare, una incapace di sollevarsi verso il palato non sa operare una propulsione.  Per una lingua inetta (anche in assenza di segni classici di disprassia orale generalizzata) il cibo diviene un corpo estraneo ingestibile, un nemico indomabile. Solo se addomesticato dalla omegenizzazione può essere inghiottito.

Accanto a questi piccoli cattivi masticatori esiste però una popolazione della quale non si parla abbastanza: sono i bimbi con la bocca cieca, quei piccoli la cui oralità è a essi stessi sconosciuta. In questi piccoli la mancata mappatura dello spazio endorale non è solo dovuta alle ridotte capacità esplorative della lingua.

In essi è carente la capacità di analisi propriocettiva e la competenza stereognosica.

Che un bimbo incapace di immaginare la propria bocca sia spaventato da qualunque cosa non nota vi possa penetrare è del tutto normale, che reagisca sputando o procurandosi il vomito é  un giusto meccanismo di difesa.

Se in bimbi poco appetenti il primo consiglio da dare è stimolare la curiosità per il cibo (colore, sapore, consistenze), eliminando i distrattori durante il pasto e favorendo il consumo del pranzo in comunità, se in bimbi disprassici la logopedia deve favorire il movimento, prima di tutto linguale, nei bimbi con la bocca cieca la prima regola è rispettare la loro paura.

La vicinanza delle aree corticali della mano e della bocca nel loro caso ci viene in aiuto. Un modo molto semplice e del tutto naturale per aiutare questi piccoli a conoscere la propria bocca, trasformandola da buia caverna in stanza ospitale, è permettere, anzi favorire attivamente, la manipolazione diretta del cibo prima della sua introduzione in bocca, sollecitando parallelamente, l’esplorazione visiva del piatto e del suo contenuto.

Tutti noi conosciamo il piacere di addentare un panino portandolo alla bocca con le mani, di sgranocchiare patatine pescandole dal piatto. In queste semplici e quotidiane operazioni l’esplorazione visiva va a incrementare le  informazioni tattili, termiche e propriocettive date dalla mano (vi capita di rigirare la patatina prima di addentarla?) e la bocca si apre per introdurvi qualcosa di già noto, manipolato, testato nella sua innocuità e per questo fortemente desiderabile.

La mano in questi bimbi è il primo esploratore territoriale, il mediatore privilegiato di qualsiasi futura accettazione dell’ignoto.